La Provincia di Alessandria (Ott.-Dic. 1988) Intervista a Mario Fallini
di Maria Luisa Caffarelli
MLC - RICORDO UNA TUA MOSTRA ESTIVA ALLO STUDIO FOSSATI DI ALESSANDRIA NEL 1979. AVEVI VOLUTO RIPROPORRE UNA SERIE DI QUADRI ACRILICI REALIZZATI NEGLI ANNI A CAVALLO FRA IL 1960 E IL '70; VUOI SPIEGARE LE MOTIVAZIONI DI QUELLA SCELTA E DI QUEI TUOI PRIMI LAVORI? MF - Negli anni della contestazione, in cui tutto aveva come referente il "politico", quei lavori erano nati come osservazione critica, come esorcismo, delle istituzioni e dell'ambiente casalingo, privato: erano la rappresentazione degli arredi di casa mia, le immagini ricordo della scuola, delle gite; un "POP domestico" , non sociale. Stendevo l'acrilico in modo piatto, eliminando la pennellata e schermavo poi l'immagine con un vetro zigrinato, che rendeva ancora più anonima l'esecuzione. Alla fine degli anni '70, quando si cominciava a parlare di riflusso e di ritorno al privato, recuperare quei vecchi lavori aveva per me il senso di riproporre in chiave ironica dei "valori" che molti andavano ripescando, senza averli esorcizzati.
Aula
MLC - I LAVORI SUCCESSIVI, ATTORNO AL '72, MI PARE CHE ESCANO DAL PRIVATO E SIANO INVECE PROIETTATI VERSO L'ESTERNO. IN QUELLE CHINE, RISOLTE IN UN SEGNO SCHERMATO CON IL PERSPEX COLORATO, CHE RAPPORTO ESISTEVA FRA SEGNO E SIGNIFICATO? MF - Il segno era essenziale, ma definito, con o senza significato, ma solo apparentemente CASUALE, Il segno diventa veicolo di comunicazione quando si stabilizza e, per convenzione, assume un significato, passando dalla soggettività ad una più ampia utilizzazione; quei segni potenzialmente erano dei prototipi. Usavo schermarli anche con delle radiografie, che creavano delle sovrapposizioni doppiamente depistanti. Vorrei precisare che per me, in questo contesto, non esiste casualità: non è possibile prescindere dalla cultura e dalla tradizione: si può viverle criticamente o rifiutarle, ma è impossibile non confrontarsi e non esserne condizionati.
Radioplex
MLC - IN CHE MODO GIUDICAVI IN QUEGLI ANNI IL RAPPORTO TRA ARTISTA E CRITICO? MF - Negli anni 70' l'artista, in genere, attuava la ricerca più disparata dell' "ultima" avanguardia, Si creava un circolo vizioso: da una parte la ricerca, disperata e fine a se stessa della novità nelle tecniche, nei materiali e nelle realizzazioni, dall'altra, da parte del critico, lo sforzo di smascherarne attribuirne o disconoscerne la paternità. Un buon psicanalista potrebbe leggere in quelle manifestazioni il tentativo, sia del critico che dell'artista, di uccidere il padre o di sostituirvisi, ritrovandoselo poi, fatalmente, più vivo di prima. Va detto che la tipologia di una certa critica era duplice: C'era chi privilegiava la tautologia - il segno che significa se stesso-, ma paradossalmente riempiva di metafore i numerosi momenti di vuoto e fissità che le si paravano davanti (critica analitica) , chi invece, con una sorta di necrofilia, difendeva un certo vetero informale (critica tardo-romantica), Al di sopra e al di fuori di questa contrapposizione, l'arte povera e concettuale proiettava la sua ombra, più vitale che mai.
MLC - COME SI INSERISCE IN QUESTO TUO PERCORSO LA PIROGRAFIA (TECNICA CHE CONSISTE NELL'INCIDERE IL LEGNO CON UNA PUNTA ARROVENTATA. CHE FA LA SUA COMPARSA DAL 1974? MF - Nasceva dall'esigenza di individuare un segno più incisivo, che entrasse nella materia e dal bisogno di recuperare una manualità, una operatività che erano state accantonate.
De Imitatione
MLC - QUASI CONTEMPORANEAMENTE NEI TUOI LAVORI INCOMINCIANO A COMPARIRE MOLTE IMMAGINI, PER LO PIU' TRATTE DALLA MITOLOGIA. CHE COSA HA DETERMINATO QUESTO CAMBIAMENTO? MF - Mi interessavano le possibili relazioni fra il mito, inteso come inafferrabilità e lo strutturalismo come categoria interpretativa, come mezzo d'indagine. Pensavo che, avvicendandosi e integrandosi l'uno con l'altro, fosse possibile un avvicinamento sempre maggiore a una "comprensione", non realizzabile nella sua totalità, ma prossima con uno scarto sempre minore.
Collezione Mida
MLC - IL MITO E' IN QUALCHE MISURA IN RELAZIONE CON QUELL'IMMAGINARIO PRIVATO O "MITOLOGIA DEL QUOTIDIANO" DEI TUOI PRIMI LAVORI? MF - Sì, è il ricorso, che è anche una risposta all'ossessiva e fallimentare ansia verso il nuovo di cui parlavo prima, a un patrimonio comune, un "già visto" che scoraggi in partenza ogni ricerca del padre: non un atteggiamento reazionario, ma un'esplicita dichiarazione del referente: il padre non viene ucciso, ma curato e mostrato senza vergogna: non una presenza ingombrante ma una sana convivenza.
MLC - QUALE E' LA CHIAVE LINGUISTICA DI QUESTA RIAPPROPRIAZIONE? MF - E' una chiave alchemica; l'alchimia come metafora della creazione, attraverso la decodificazione-esplorazione della materia e dei suoi simboli e l'analisi della psiche, l'unione tra il fisico e il mentale. La mitologia e la stessa storia dell'arte vengono recuperate e assunte come banche- oggi esistono testi, grandi "vocabolari" repertori che raccolgono in modo sistematico ogni possibile immagine-, nei confronti delle quali la copia, il plagio sono espliciti. Lautremont diceva che "il plagio è necessario. Il progresso lo implica. Esso stringe da presso la frase di un autore, si serve delle sue espressioni, cancella l'idea falsa, la sostituisce con l'idea giusta". Lautremont operò attraverso tre strumenti di rottura: il "calco", che consiste nell'impiego eccedente e sistematico dell'imitazione, l'"iperbole", che è enormità e, nel senso, comunica dissenso o non senso, l' "ironia", che manifesta coscienza del proprio limite".
Sospensione Taumaturgica
MLC - QUALE FUNZIONE HANNO PER TE, QUESTI ARTIFICI? MF - Con questi artifici il recupero della storia dell'arte non è una riscrittura, ma una lettura critica e distanziante, con la quale il senso, il significato dell'immagine hanno la precedenza sulla sua rappresentazione, per cui la dimensione privilegiata è quella semantica, non sintattica. Il lavoro iconologico deve essere, però, affiancato da un lavoro sull'inconscio, altrimenti si ricadrebbe nell'imitazione fredda, calcolata. Inoltre oggi che la psicanalisi ci permette, al limite, di leggere in tempo reale le nostre emozioni e reazioni, questo operare sull'inconscio non può, ovviamente, più attuarsi nei termini avventurosi e ingenui del primo surrealismo, né prescindere dalle conclusioni in ambito psicanalitico di questi ultimi decenni.
MLC - MA IN QUESTO MODO L'ARTE RISCHIA DI ASSUMERE UNA FUNZIONE QUASI SOLO TERAPEUTICA? MF - No, perché più si conosce l'inconscio. più la libera coesistenza fra ricerca psicanalitica e iconologia può permettere all'individuo di raggiungere una realtà poetica. Il mio lavoro consiste proprio nel reinventare il passato, agganciando fra loro le immagini dei documenti storici e privati, di memoria collettiva e individuale.
MLC - CHE IMPORTANZA HA IL TITOLO? MF - Il titolo è fondamentale: attraverso l'unione tra i titoli e le immagini, che sono motti di spirito figurativi e linguistici tratti dalla storia, si concretizza qualcosa di simile ai rebus, che Freud paragonava al lavoro dell'inconscio: dalle profondità della storia si realizza una salutare risalita in superficie.
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