IL CATALOGO
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Un Castello di Immagini
testi | Mario Mantelli - foto | Enzo Bruno
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N on si può affrontare il discorso sull’opera di Mario Fallini senza focalizzare l’attenzione sulla categoria del tempo, per negarla subito dopo, entrando in una specie di bolla temporale fatta di eternità immanente: è una sua scelta deliberata, necessaria allo svolgimento di una copiosa produzione e delle tante e diverse cose che ha da dire, che si affollano e quasi si accavallano; eternità immanente come rimedio alla vita breve, perché l’arte è lunga. In questo modo ci si sottrae all’incalzare del tempo, all’avvicendamento dei propri “periodi” (anche se qualche cosa si potrà ravvisare in questo senso) e al carosello delle mode e dei revival. Chi ha tante cose da dire non vuole essere disturbato dal crosciare delle mascelle di Crono e ha bisogno di una sua piccola quota di silenziosa eternità per mettere in scena il “teatro di figure” della propria “esperienza psichica profonda” (1). Un indizio di questa valutazione del tempo sta nella decisione primaria e irrevocabile di non datare le proprie opere e d’altronde l’azzeccata omissione di un cenno biografico (2) parla di “Mario Fallini , nato nel 1947, dove abita e lavora”. Ma, al di là della presa di posizione ideologica o del refuso illuminante, c’è un’opera in cui si rivela questa particolare concezione del tempo. Si intitola Il Figlio di Cronos e rappresenta il giovinetto perbene della letteratura edificante dell’Ottocento intento ad un gioco di destrezza: fa roteare con un nastro (un nastro vero in un contesto pirografato) una clessidra, che è tenuta così in una innaturale posizione coricata: in questo modo la sabbia non scorre più, ma rotea all’interno dei coni dell’ampolla. Si capisce che questo enfant terribile è uno che si stufa presto e fra poco passerà ad un altro gioco; uno lo ha già tralasciato (o lo incomincerà?); infatti sul tavolo davanti a sé è posato un giocattolo consimile, che al posto della clessidra ha una sfera armillare. E’ interessante notare come sul fondo scuro si libra una piccola farfalla e non si sa se si tratta dell’anima di qualche poveretto che ci ha rimesso la vita in questo increscioso scherzare col tempo del figlio di Crono oppure del simbolo di una libertà che si ottiene soltanto mediante la sospensione del tempo che si realizza nel gioco infantile. Qui ci interessa però notare non soltanto i significati dell’allegoria, ma anche le modalità, che ci aiutano a definire una poetica. Noteremo allora che di fronte a contenuti sempre profondi e sovente filosofici (Fallini appartiene alla non numerosa schiera degli artisti filosofi) c’è un piglio giocoso, c’è un riferimento all’infanzia, c’è un atteggiamento parodistico nei confronti della mitologia classica, uniti a un intelletto ironico e divagante, che valorizza il “cosciente” rispetto all’ inconscio esaltato dal Surrealismo: un complesso di fattori che, presenti così tutti assieme, fanno pensare alla poetica di Alberto Savinio; quantunque il mito di Fallini sia Marcel Duchamp. Vale la pena comunque di sottolineare l’importanza dell’infanzia e del gioco infantile. Basterebbe al proposito sfogliare i titoli di una mostra del 2002 presso lo Studio Vigato (3): Cenerentola, De Amicis, Tandem, Mosca cieca, Pistacchio Limone Fragola, arredi di una stanza dei bambini notevolmente inquietante (basta andarsi a leggere i titoli rimanenti), ma testimonianza del fatto che l’età dei giochi è un luogo di costante riferimento.
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