L'Opera esposta nella mostra "In nome dell'amore", realizzata in metallo e pietre dure. La cintura si trovava nella prima sala della mostra insieme al lenzuolo delle "Mille e una notte", realizzata a grandezza naturale, essa era appesa al soffitto come un'altalena e se spinta andava a sfiorare il lenzuolo. L'oscillazione realizzava un nesso sia contenutistico sia spaziale, inoltre la cintura era posizionata in modo tale che, grazie alle luci, apparisse accanto all'oggetto la sua ombra la quale, in seguito all'oscillazione, si spostava dal pavimento alla parete. Operazione vicina al dadaismo, per cui l'oggetto se decontestualizzato diventa spiazzante perchè rielaborato attraverso una nuova accezione e una differente funzione. La cintura, nella fascia pubica, è forata in punti corrisponenti alle tre zone erogene ed incastonata di pietre gialle e rosse. L'oggetto, che nell'aneddotica si fa risalire al medioevo, (al tempo delle crociate, collegandola alla necessità, per i cavalieri che partivano per il Santo Sepolcro di assicurarsi della fedeltà delle proprie consorti) è descritto per la prima volta in un documento del 1405. In realtà, una ricostruzione storica più attenta porta a concludere che i primi usi della cintura di castità risalgano, in Italia, al XIV o XV secolo. Tradizionalmente l'uso della cintura di castità è correlato all'esigenza maschile di assicurarsi la fedeltà della propria donna. Strumento di dominazione e di sottomissione, in questo caso rivisto nella nuova funzione di altalena, provoca un ribaltamento assurdo: essa diventa una sorta di armatura femminile e di "gioco amoroso" col quale la donna si sottrae all'uomo e gli sfugge oscillando. Il fatto che sfiori il lenzuolo delle "Mille e una notte" allude al coitus interruptus che Sharāzād provoca al sovrano, rimandando sempre il finale delle sue storie al giorno dopo. L'ambiguità dell'oggetto, modificato e riconiugato attraverso la decontestualizzazione, è enfatizzata dall'ombra, che nel suo variare rimanda al mutamento dei ruoli maschile e femminile. "
di Camilla Bertolino |
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