IL CATALOGO
Flatus Vocis
testi | Andrea Calzolari - foto | Enzo Bruno
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I n un quadrato, quattro quadrati inquadrano quattro impronte di labbra tinte di rossetto; quattro sillabe, una sotto ogni quadrato, inscrivono il titolo nel quadro: FLA TUS VO CIS. Fallini dice che l’ha fatto per esorcizzare il rischio nominalistico. L’espressione « flatus vocis », in effetti, è comunemente attribuita a uno dei padri del nominalismo medievale, Roscellino di Compiègne, che fu accusato di triteismo al concilio di Soissons e che, per singolare destino, è stato ridotto egli stesso a poco più d’un flatus vocis, dato che possediamo soltanto una sua lettera, di relativo interesse teoretico, indirizzata a Pietro Abelardo. Notizie su di lui sono fornite da Giovanni di Salisbury, Abelardo, Ottone di Frisinga e Anselmo di Aosta (o di Canterbury), vescovo e santo: è quest’ultimo che gli attribuisce, forse tendenziosamente, l’espressione citata, indicandolo come il capo di una pericolosa setta, «dialecticae haeretici, qui non nisi flatum vocis putant esse universales substantias, et qui colorem non aliud queunt intelligere quam corpus». Ora, ci vuol poco a capire che tra questi eretici della logica che confondono il colore con il corpo bisognerebbe annoverare anche i pittori. Donde il dubbio di Fallini, accreditato anche da Platone che, come si sa, ha lasciato chiaramente intendere che i pittori sono quei falsi demiurghi che rappresentano solo l’apparenza (l’eidolon) e non la sostanza della cosa, proprio come fa lo specchio. Ma come si fa a captare con lo specchio un flatum vocis, una vibrazione acustica? La trappola sinestetica è sempre in agguato, da qualche parte, magari scientificamente travestita sotto le specie delle omologie di strutture percettive teorizzate dalla psicologia della Gestalt. Fallini, diffidente e coerente, ha preferito optare con decisione per quella che la logica medievale, un secolo dopo Roscellino, chiamava la suppositio materialis; ha cioè riservato alla parola d’ordine nominalistica lo stesso trattamento a cui il nominalismo sottoponeva tutti i concetti, accusati di non esser altro che flatus vocis.Dunque, « flatus vocis » è un quadrisillabo e, poiché ciascuna sillaba implica una diversa apertura delle labbra, Fallini ha rappresentato le quattro diverse posizioni orali. Che tipo d’iconicità è, questo? In una nota pagina Peirce ha distinto tre tipi d’icona: «Quelle che partecipano dì qualità semplici, ovvero della Prima Primità, sono immagini; quelle che rappresentano le relazioni (principalmente diadiche, o considerate tali) delle parti di una cosa per mezzo di relazioni analoghe fra le loro proprie parti sono diagrammi: quelle che rappresentano il carattere rappresentativo di un representamen mediante la rappresentazione di un parallelismo con qualcos’altro sono metafore». Ma è chiaro che Fallini gioca su tutte e tre le possibilità, utilizzandole in un processo d’integrazione successiva. Se le impronte sono immagini delle labbra, la loro diversa posizione (in corrispondenza ai diversi suoni) costituisce un tentativo di realizzare, seppur sul piano artigianale, qualcosa di simile a quel che realizza la fonetica sperimentale quando cerca di cogliere i tratti obiettivi dei suoni emessi dal parlante attraverso palatogrammi o spettrografie. Infine l’intero quadro costituisce una metafora dell’operazione nominalistica e — forse — della pittura.
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