Il Milione
Per spiegarci meglio vediamo che cosa succede nella presente mostra Il Milione di Marco Polo, che si tiene nel Salone delle Compere di Palazzo San Giorgio a Genova. Siamo a due passi dal carcere in cui, secondo la tradizione attestata da una lapide, il grande viaggiatore veneziano dettò la sua opera a Rustichello da Pisa. Grazie alla duplice ospitalità del Centro Studi Ligure per le Arti e le Lettere di Bogliasco e dell’Autorità Portuale, possiamo dire che Il Milione (nella trascrizione di Fallini) è tornato a casa, presso le segrete in cui è stato scritto per la prima volta.
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Il Passo di Saturno
L’ambiguità della scrittura alfabetica usata da Fallini fa sì che i caratteri, questi in piombo della falce di Saturno, per esempio, o della Stampa, deposta la consueta valenza linguistica, ne assumano un’altra, eminentemente sensoriale e plastica, dove la lettera «A» non vuol più essere letta come segno del fonema a, ma come tratto grafico e come spessore.Trasposti e piegati ad una signifi cazione ben diversa da quella che per solito gli è commessa, i caratteri in piombo, presi uno a uno e deposti sul foglio, lentamente disegnano, ingrossano, alla luce radente si annettono uno strascico d’ombra, non diversamente da quanto, a suo tempo, avevano fatto i chiodi, capaci di simulare, con le punte, la tenerezza del velluto.
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Un Castello di Immagini
Non si può affrontare il discorso sull’opera di Mario Fallini senza focalizzare l’attenzione sulla categoria del tempo, per negarla subito dopo, entrando in una specie di bolla temporale fatta di eternità immanente: è una sua scelta deliberata, necessaria allo svolgimento di una copiosa produzione e delle tante e diverse cose che ha da dire, che si affollano e quasi si accavallano; eternità immanente come rimedio alla vita breve, perché l’arte è lunga. In questo modo ci si sottrae all’incalzare del tempo, all’avvicendamento dei propri “periodi” (anche se qualche cosa si potrà ravvisare in questo senso) e al carosello delle mode e dei revival [...]. Un indizio di questa valutazione del tempo sta nella decisione primaria e irrevocabile di non datare le proprie opere e d’altronde l’azzeccata omissione di un cenno biografico parla di “Mario Fallini , nato nel 1947, dove abita e lavora”.
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Gola e Lussuria
Chiunque conosca a sufficienza Mario Fallini, lo sa frugale, sobrio, forse anche casto e, comunque, asceticamente dedito al lavoro: facile prevedere, perciò, che la mostra da lui dedicata alla gola e alla lussuria non possa essere altro che un atto di accusa contro questi peccati capitali. Ed in effetti, non appena si entra, la prima impressione, se si può far passare la memoria dantesca tra le gambe di queste mutande per bagnarla con la saliva che scivola da queste lingue, è che ci si trovi in un girone infernale, in una condizione di pena che non sembra aspirare a redenzione, quasi non se ne sentisse il bisogno.
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Critica del Gusto
Che cosa c'è di meglio dunque che esporre la pizza e l'arte moderna fuse assieme, esponendo fotografie di pizze che riproducono quadri fra i più famosi del nostro secolo? Ecco l'idea: ti presento i capolavori dei grandi maestri, ti rendo appetibile l'arte moderna, ti offro una pizza Picasso come alternativa alla Quattro stagioni.
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In Nome dell'Amore
Il particolare è molto importante: Fallini ha scelto di ornare il lenzuolo nuziale non con la prima immagine drammatica del Vetro, ma con la versione eseguita in un momento successivo all’environment di Filadelfia, e cioè quando Duchamp aveva deciso di dare un lieto fine alla storia. Nell'originale, la saga si interrompe nel momento cruciale dell'incontro dei due amanti che, benché progettato, non era raffigurato nel Vetro, essendo stato "lasciato nello stato di incompiutezza" nel 1923. Come per confermare il proposito di far trionfare l'amore, Fallini ha fatto ricamare con un filo giallo il drappo: il giallo è il colore della conoscenza aurea, proprio quella che nasce dall'amore corrisposto e attuato.
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De Imitatione ... dal 1977.
La figura femminile ripetuta in tutti i lavori (meno uno) presenti in mostra è la fedele riproduzione di un'immagine della Novissima Iconologia di Cesare Ripa Perugino, […] ampliata in quest'ultima editione non solo dallo stesso autore di Trecento, e cinquanta/immagini, con molti discorsi pieni di varia erudizione, e con molti indici copiosi, ma ancora arricchita d’altre Immagini, discorsi, e esquisita corretione dal Sig. Gio. Zaratino Castellini Romano, in Padova, per Pietro Paolo Tozzi, 1625.Il testo fornisce la seguente descrizione: Imitatione donna, che nella mano destra, tiene un mazzo di pennelli, nella sinistra una maschera, e a' piedi una simia. L'Imitatione si vede in qual si voglia attione overo opera fatta ad alcun' altra somigliante, e però si dipinge con un mazzo di pennelli in mano, come istromenti dell'arte, imitatrice de' colori, e delle figure dalla natura prodotte, o dall'arte istessa. La maschera e la simia ci dimostrano l’Imitatione dell’attioni humane; questa per essere animale atto per imitare l’huomo co’ suoi gesti; e quella per imitarne nelle commedie, e fuori, l'apparenza, e il portamento di diversi personaggi.
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Flatus Vocis
Nelle leggende nordiche ricorre la storia dell’uomo che vendette la sua ombra, ma la storia della pittura moderna è piuttosto la storia di un’ ombra che, dopo essere stata per secoli tanto fedele al suo corpo da pretendere quasi di sostituirlo, ha poi deciso di venderlo e di farne a meno.
Oggi la situazione è incerta più che mai (per ragioni attinenti non soltanto alla pittura) e Fallini, che lo sa e che mi parla spesso del suo lavoro, ha cercato di ancorarsi a qualcosa mostrando il corpo dell’ombra, nulla di più e nulla di meno di quell’ombra povera ma resistente, umile ma irriducibile che è la pittura.
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Pirografie
Avviene, allora, che Fallini con pochi tratti essenziali si collochi di colpo AL MARGINE TRA IMMAGINE E CONCETTO, TRA SEGNO E SUPPORTO, raggiungendo quel felice e precario equilibrio che non solo dà vita ai risultati migliori della sua ricerca, ma costituisce appunto, credo, il luogo d'origine del suo lavoro futuro.
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Interno
Gli arredi di casa che ci accompagnano durante giorni, occupano spazi che tacitamente accordiamo loro anche se in qualche caso potremmo tranquillamente farne a meno; diventano insomma dei servi padroni. In questa mostra ho esposto quadri con mobili e immagini ricordo che ho voluto esorcizzare riproducendoli. Le immagini segnaletiche della società moderna sono in questi lavori sostituite da immagini che celano sotto una loro apparente garanzia di sicurezza un pericolo latente. I movimenti giovanili alla fine degli anni 60, anni in cui ho dipinto questi quadri, proponevano alternative impegnate, nel mio caso la lotta si riduceva nei pochi metri quadrati casalinghi, oggi forse troppo rivalutati come rifugio per ritrovare se stessi dopo le realizzazioni mancate.
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